L’ospitalità, ovvero il linguaggio di un pluralismo consapevole. Nota su “La società degli altri” di Tito Marci

Published in Sociologia n. 1/2018 – Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali

Nonfiction, Social & Cultural Studies, Social Science, Sociology
Cover of the book L’ospitalità, ovvero il linguaggio di un pluralismo consapevole. Nota su “La società degli altri” di Tito Marci by Francesco Tibursi, Gangemi Editore
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Author: Francesco Tibursi ISBN: 9788849243543
Publisher: Gangemi Editore Publication: April 4, 2019
Imprint: Gangemi Editore Language: Italian
Author: Francesco Tibursi
ISBN: 9788849243543
Publisher: Gangemi Editore
Publication: April 4, 2019
Imprint: Gangemi Editore
Language: Italian

Published in Sociologia n.1/2018 - Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali dell'Istituto Luigi Sturzo, diretta da Andrea Bixio | Nel panorama teorico attuale, le pressanti questioni dell’immigrazione, del terrorismo, del difficile dialogo internazionale fra culture, forme politiche e sociali distanti occupano una porzione importante della produzione scientifica; tanto più l’urgenza, come pure l’indecidibilità, di tali problemi aumenta, tanto più si è costretti a discuterne fervidamente. Non è tuttavia nostro interesse ricostruire la mappa di tale dibattito, nella sua varietà di prospettive e opinioni, ma ci preme rilevare come, pur nelle differenze, esiste una linea comune problematica in tale discorso, invero piuttosto intuitiva nella sua immediata apparenza: la coppia diadica inclusione/esclusione. Si discute così della necessità d’includere o escludere l’estraneo, lo straniero, il diverso; s’indagano quali siano, se esistono, le condizioni di tale rapporto; si pone il problema di dar voce e volto a chi voce non ha, a chi esiste al margine. Ma da quest’orizzonte sorge, nella sua paradossalità, la domanda che problematizza a sua volta l’intera prospettiva: esistere al margine di cosa? Essere esclusi da quale luogo? Il presupposto, infatti, del discorso sull’inclusione – o integrazione, che dir si voglia – è l’esistenza di un’identità, o quantomeno di un luogo ove essa si genera, precostituita all’esistenza dell’altro come di sé. Il problema è che muovendo da questo paradigma – sia assumendo la necessità dell’integrazione sia l’inevitabilità dell’esclusione – si riproduce, proprio per mezzo della linea che traccia la soglia dell’integrazione, il gesto che rende il diverso estraneo. Così il discorso rischia di chiudersi in un cerchio senza soluzione, ove tanto più è intensa la spinta a portare a sé, a render simile l’altro, tanto più la sua diversità si rende irraggiungibile. L’allontanamento delle differenze come fattore marginale, “inessenziale” di fronte all’omogeneità dell’umano non riesce sempre a risolvere le distanze che tali differenze, nel concreto, creano all’interno dello spazio sociale.

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Published in Sociologia n.1/2018 - Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali dell'Istituto Luigi Sturzo, diretta da Andrea Bixio | Nel panorama teorico attuale, le pressanti questioni dell’immigrazione, del terrorismo, del difficile dialogo internazionale fra culture, forme politiche e sociali distanti occupano una porzione importante della produzione scientifica; tanto più l’urgenza, come pure l’indecidibilità, di tali problemi aumenta, tanto più si è costretti a discuterne fervidamente. Non è tuttavia nostro interesse ricostruire la mappa di tale dibattito, nella sua varietà di prospettive e opinioni, ma ci preme rilevare come, pur nelle differenze, esiste una linea comune problematica in tale discorso, invero piuttosto intuitiva nella sua immediata apparenza: la coppia diadica inclusione/esclusione. Si discute così della necessità d’includere o escludere l’estraneo, lo straniero, il diverso; s’indagano quali siano, se esistono, le condizioni di tale rapporto; si pone il problema di dar voce e volto a chi voce non ha, a chi esiste al margine. Ma da quest’orizzonte sorge, nella sua paradossalità, la domanda che problematizza a sua volta l’intera prospettiva: esistere al margine di cosa? Essere esclusi da quale luogo? Il presupposto, infatti, del discorso sull’inclusione – o integrazione, che dir si voglia – è l’esistenza di un’identità, o quantomeno di un luogo ove essa si genera, precostituita all’esistenza dell’altro come di sé. Il problema è che muovendo da questo paradigma – sia assumendo la necessità dell’integrazione sia l’inevitabilità dell’esclusione – si riproduce, proprio per mezzo della linea che traccia la soglia dell’integrazione, il gesto che rende il diverso estraneo. Così il discorso rischia di chiudersi in un cerchio senza soluzione, ove tanto più è intensa la spinta a portare a sé, a render simile l’altro, tanto più la sua diversità si rende irraggiungibile. L’allontanamento delle differenze come fattore marginale, “inessenziale” di fronte all’omogeneità dell’umano non riesce sempre a risolvere le distanze che tali differenze, nel concreto, creano all’interno dello spazio sociale.

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